CRUDO E AVVINCENTE “INFERNO 1860 – UN NOIR NAPOLETANO” DI MARCO LAPEGNA
Di Valeria Marzoli
Il caldo torrido, le tensioni sociali e il
disagio che prova sul luogo di lavoro, rendono un inferno le giornate
dell’ispettore Casagrande, uomo fedele alle istituzioni e, nel contempo,
profondamente deluso da superiori e colleghi corrotti che si contendono i
guadagni di loschi traffici della camorra.
Nelle prime settimane le indagini del misterioso caso si dipanano tra sontuose dimore e luridi fondaci, dove l’uomo scava nelle esistenze di coloro che in un modo o nell’altro hanno motivi di risentimento verso una delle vittime.
Lapegna, lei è un professore universitario di
informatica e allora ci spieghi come, poi, si è avvicinato al mondo della
scrittura.
Marco Lapegna |
Penso che il cosiddetto “mondo della scrittura” sia trasversale a tanti altri mestieri o professioni. Scrittori di successo sono non solo docenti universitari in qualche modo abituati a scrivere, ma anche medici, magistrati o persone impegnate in altre occupazioni. Scrivere, spesso, rappresenta l’occasione per coniugare l’approfondimento di argomenti che suscitano la curiosità personale con la voglia di raccontare una storia. Non dimentichiamo che raccontare storie attorno a un fuoco, vere o inventate che fossero, è una delle attività più antiche dell’uomo, quella che forse ha permesso lo sviluppo del linguaggio e delle prime società preistoriche. È, insomma, un istinto naturale dell’uomo. Spesso occorre solo l’occasione per iniziare a scrivere e trasformare una storia in un libro. Nel mio caso ho approfittato di un infortunio che mi ha tenuto bloccato a casa per un paio di mesi, alcuni anni fa, per scrivere un primo racconto che considero però come un esperimento, una palestra che mi ha permesso di riflettere su alcuni errori comuni per i principianti. Ho cominciato, quindi, a leggere i romanzi di altri autori, interessandomi anche ai trucchi, alle tecniche e allo stile. Anche qualche manuale e blog di scrittori in rete sono stati molto utili. “Inferno 1860” è il frutto di questa ricerca.
Come è nato “Inferno 1860”?
Negli ultimi anni, in particolare nel Meridione d’Italia, ha ripreso vigore il dibattito sul processo di unificazione durante il XIX secolo. Al di là dei tentativi di rilettura storica, che non sono presenti in questo romanzo, mi sono chiesto cosa hanno provato i napoletani durante i quattro mesi estivi del 1860 in cui il loro regno, il più grande e potente della penisola, si è sciolto come neve al sole, quasi senza combattere. Sono quattro mesi ricchi di eventi ben documentati, quando Napoli diventò il centro della politica internazionale, con la presenza di spie e attivisti di ogni genere. Ecco, ho approfittato di questo momento così ricco di accadimenti per raccontare una storia di fantasia, un’indagine su un duplice omicidio, che descrivesse al tempo stesso anche la storia di Napoli e il sentimento dei napoletani, che oscillava, ovviamente, tra la speranza dei tempi nuovi e lo sgomento per la fine di un’epoca.
Quali sono state le fonti storiche di cui si è
servito per scrivere il libro?
Sono partito dal testo di Raffaele De Cesare: “La fine di un regno” scritto nel 1900, che contiene una precisa cronologia degli eventi quotidiani, anche minori, accaduti a Napoli in quei giorni. Questo è stato il testo che in qualche modo ha definito la scaletta degli eventi storici dove far muovere i personaggi di fantasia. Per la descrizione delle condizioni di vita del popolo napoletano nel XIX secolo ho poi preso spunto da “Il ventre di Napoli” di Matilde Serao. Più impegnative sono state le letture di alcuni testi tecnici degli storici Paolo Macry e Angelantonio Spagnoletti per il contesto sociopolitico, e dell’economista Paolo Malanima per l’economia e il costo della vita nel Regno delle due Sicilie. Interessantissimo e ricco di aneddoti e personaggi riguardanti la polizia borbonica e la sua organizzazione è stata la lettura del volume di Antonio Fiore “Camorra e polizia nella Napoli borbonica”. La consultazione di mappe dell’epoca, almanacchi, raccolte di leggi, voci enciclopediche, e registrazioni di trasmissioni televisive reperibili in rete hanno completato le fonti documentali.
La riappropriazione storica del nostro passato
può avvenire anche attraverso un “innocuo” noir. Perché si è interessato
proprio di quel preciso momento storico? E qual è il messaggio profondo del suo
libro?
Il tema del romanzo nasce anche dal desiderio da parte mia di approfondire un periodo storico particolare per la città di Napoli. Senza contare che la storia è come uno specchio in cui riflettersi, magari con distacco, e ragionare sul tempo presente. In particolare, vedo parecchie analogie tra il 1860 e i giorni nostri. Oggi, infatti, ragioniamo di Europa unita e delle forme di integrazione tra nazioni diverse. Immagino che nel 1860 il dibattito non dovesse essere molto diverso tra coloro che volevano un Regno delle Due Sicilie Sovrano e tra chi voleva aderire ad un progetto unitario. E anche tra costoro c’erano diversi e spesso incompatibili punti di vista.
Ci racconti dell’emozione quando è stato
pubblicato il romanzo?
È l’emozione tipica della conclusione di un progetto durato circa tre anni. In questo periodo non ho mai messo in conto la possibilità di lasciare perdere tutto, ho lavorato con calma ed ero certo di concludere l’opera. Ma la stampa del libro è stato l’istante in cui ho visto l’idea farsi materia e il pensiero diventare un’esperienza sensoriale.
Qual è il legame tra “Il posto dell’anima”, il
suo primo libro, e “Inferno 1860”?
“Il posto dell’anima” è il primo racconto che mi sono limitato a stampare in proprio, ed è ancora disponibile su una piattaforma on line di autopubblicazione. Anche in questo caso si tratta di un’indagine per omicidio, ma la storia è ambientata nei giorni nostri. Un legame forte tra i due romanzi è rappresentato dal tema del cambiamento dei tempi e del passaggio di consegne tra una generazione e l’altra. Un altro legame è rappresentato dal nome del protagonista. Anche se ambientati in epoche molto diverse, i protagonisti si chiamano allo stesso modo, e tutto sommato hanno dei tratti caratteriali simili. Possiamo immaginare l’ispettore Gaetano Casagrande di “Inferno 1860” come un antenato di quello in “Il posto dell’anima”, appartenenti alla stessa famiglia di investigatori.
Quando inizia a scrivere un libro sa già come si svilupperà la storia oppure lascia che l’intreccio si evolva da solo?
Per la scrittura di “Inferno 1860” mi sono
affidato molto agli eventi storici realmente accaduti. Sono partito quindi
dall’immaginare quale potesse essere il ruolo dei miei personaggi e come le
loro azioni potessero essere influenzate da tali eventi storici. Ho
individuato, in questo modo, cinque o sei momenti chiave all’interno della
trama, che poi ho raccordato tra loro. Ho seguito più l’istinto che una
pianificazione dettagliata di tutta la trama, cercando comunque di trasporre
nella scrittura del romanzo una metodologia basata sullo studio delle fonti,
per me familiare in ambito scientifico. Mi sono divertito ad intrecciare la
grande storia di Napoli con le piccole storie dei protagonisti di fantasia.
Qual è il ruolo dello scrittore in questo
particolare momento storico?
È un mondo troppo vasto ed eterogeneo per
attribuirgli un ruolo univoco, anche se, in estrema sintesi, uno scrittore è un
amplificatore delle esperienze umane, colui che attraverso un racconto
permettere al lettore di vivere esperienze in tempi e luoghi diversi. Oggi sembra prevalere soprattutto la
narrativa, anche se non mancano interessanti pubblicazioni di carattere storico
e di riflessione sul nostro passato anche recente. Per quanto mi riguarda, il
mio obiettivo era quello di scrivere un racconto che potesse sorprendere e
interessare gli amanti della città di Napoli, della storia e dei racconti noir.
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