"Nella mente di un superficiale" di Generoso di Biase, Graus Edizioni.

 di Pino Cotarelli

L’autore Generoso di Biase, avvocato, nato ad Aversa (CE), già Consigliere dell’Ordine degli avvocati del Tribunale di Napoli Nord, col suo romanzo dal titolo: “Nella mente di un superficiale” Graus Edizioni (231 pagg., euro 15,00), utilizzando un linguaggio contestuale, schietto, diretto e a tratti sfrontato e irriverente, ci riporta la quotidianità dell’avvocato De Chirico e dei suoi risvolti psicologici e abitudinali, nella quale appare prevalente una sua propensione a confinare l’universo donna, nel solo perimetro estetico/sessuale. Un tipico atteggiamento presente in quelle superficialità maschili che si alimentano delle complicità goliardiche, ma che non di rado, si arrendono inermi ai contenuti umani e romantici di una donna, che non possono certo apparire dal nulla. Una lettura quindi, che incuriosisce, intriga per l’impatto inusuale e coinvolgente, sollecitata anche da una involontaria e sana irritazione che rende il tutto singolare e innovativo. Si è chiamati in prima persona alla partecipazione e al giudizio, perché il protagonista ci parla, ci chiede complicità, rivolgendosi anche a se stesso. Ci si riconosce o ci si vorrebbe assomigliare all’avvocato De Chirico, uomo di successo, tanto ricercato e conteso dalle donne. I suoi giorni però, vissuti all’insegna di una apparente superficialità e che appaino sempre più affascinanti, interessanti e densi di vita, si infrangono sulle sue profonde incertezze, per gli improvvisi momenti di sconforto in cui l’avvocato si abbandona a pianti liberatori, arrendendosi alle sue inquietudini profonde. Profondi rimorsi per scelte non volute fino in fondo, legate anche al divorzio resosi necessario. La presenza del vuoto, della mancanza dell’affetto sottrattogli dalla figlia che lo detesta per le sofferenze inferte alla madre dal divorzio. Una spontanea e circostanziata descrizione, che svela insicurezze e fragilità, nascoste dall’apparente superficialità, al lettore chiamato a dare un giudizio imparziale sul vissuto dell’avvocato. Vicende che sembrano volere costruire anche una pseudo-difesa utile al giudizio richiesto al lettore. Ma anche la volontà di mettere a nudo quei sentimenti non compresi appieno dai suoi affetti, chiamati alla riscoperta di una personalità che, anche nei i suoi difetti, ha bisogno di comprensione. Un modo di parlare direttamente, di coinvolgere il lettore, facendolo partecipare al giudizio per ogni azione che l’avvocato svolge nelle sue giornate lavorative dedicate anche alle sue semplici riflessioni e alle categorizzazioni delle vicende vissute nella sua apparente e superficiale felicità di single. I messaggi da WhatsApp, da Messenger o da Facebook, di donne che provocano che invitano, amici che convocano improvvisamente, tutti soggetti esaminati e spesso criticati, discussi anche con l’ipotizzato ausilio richiesto dall’avvocato, allo stesso lettore. Il racconto che procede anche con modalità flash-back, riesce a mettere in relazione diretta passato/presente/futuro in maniera interessante ed esaustiva, fino alla inaspettata sorpresa finale.  Fin troppo facile pensare ad un romanzo autobiografico, ma non è così assicura l’autore al quale, divertiti positivamente dalla lettura del romanzo, abbiamo rivolto alcune domande.

 

Come nasce questo libro?

Credo nasca dal fastidio di scorgere degli schemi precostituiti e niente affatto validi. Forse, la nostra società, distruggendo, e a buona ragione, molti dei pregiudizi sbagliati su grandi tematiche che ci portavamo come insopportabile peso da troppo tempo, abbia un po’ lasciato a se stesso, forse sopravvalutandolo, l’individuo e, soprattutto, l’individuo nel suo quotidiano. Da qui, il ricorso a mille schemi, piuttosto posticci, per vedersi migliore o forse per non vedersi affatto, ergo per non misurarsi con la realtà. Inevitabile una grande inclinazione al giudizio sugli altri e poco su se stessi

 

Quanto ti riconosci in questa storia?

Ho voluto essere cronista dei nostri tempi, dei miei tempi, impossibile non riconoscersi. Non era mia intenzione raccontare una favola. Credo di non averla raccontata.

 

Perché un dialogo diretto con il lettore?

Non volevo dare via di fuga a chi è incline (la maggior parte) a conferirsi un’immagine dopata di sé, vivendo una vita fuori dalla realtà. Ritengo che il primo passo perché le cose cambino, preferibilmente in meglio, non possa che essere un’attenta lettura del mondo che ci circonda. Questo non può non implicare che un’approfondita consapevolezza del proprio Io. Cosa di meglio di un confronto diretto, semmai anche con strattoni e grida perché questa nutritissima categoria di persone, abituata a mettere il silenziatore alla voce della propria coscienza, ti ascolti?

 

La superficialità a tinte forti che fa risaltare le profonde riflessioni interiori del protagonista, è intenzionale? 

Intenzionale è stato raccontare tutto ciò che vive e pensa il protagonista in quell’arco di tempo riportato nel romanzo. Un protagonista che avverte i giudizi e ha deciso che fosse giunto il momento affinché tali giudizi poggiassero su qualcosa di concreto: il racconto senza peli sulla lingua di se stesso e della vita che conduce. Non si è, però, fatto mancare lo sfizio di esprimere ciò che pensa degli stessi potenziali lettori, alcuni dei quali coinvolti nella vicenda raccontata. Quanto siano profonde le riflessioni e superficiali le gesta, sarà appunto oggetto di esame e giudizio da parte del lettore 

 

Una visione della donna come solo oggetto della bellezza e del sesso?

Niente affatto. Una visione paritaria della donna che ha diritto ad essere se stessa, anche superficiale. Raccontare il proprio primitivo non può e non deve essere un tabù, dovrebbe piuttosto esserlo l’ammantarlo di inutili sovrastrutture. Esaltare o demonizzare la natura dell’uno o dell’altro genere credo sia l’ostacolo più arduo da superare per raggiungere la piena parità, se non da un punto di vista sociale sicuramente culturale. Ciò che ho inteso fare è stato mettere sotto la lente di ingrandimento il ricorso, ancora oggi, alla falsità anche con se stessi pur di salvare le trite e ritrite apparenze.

 

Quale lo scopo finale della vita frenetica dell’avvocato De Chirico?

Lui non ha mete da raggiungere. Lui ha voglia di scoprirsi e capire innanzitutto se stesso. Non nasconde nulla al lettore, conseguentemente non nasconde nulla a se stesso, comprese le sconfitte e i dolori di cui teme di esserne il principale artefice. Nel frattempo, si inventa la vita con quello che la vita gli concede piuttosto che piangersi addosso.

 

La sua immaturità è solo apparente?

Per rispondere a questa domanda, dovremmo stabilire una volta per tutte in cosa si identifica la maturità. Se la si rinviene in una vita equilibrata da, appunto, mille sovrastrutture o dalla incapacità più o meno colpevole di capirsi e capire, a fronte di successi pragmatici, allora ci troviamo di fronte ad un uomo assolutamente immaturo. Se, invece, sta nella capacità e nel desiderio di capire la realtà sia intima che esterna, credo che lui sia in grande vantaggio rispetto alla maggior parte delle persone in quanto a maturità. Dolori ne prova e non li attutisce. Lui, forse, ha il grande torto di vivere nel suo piccolo e tra mille difficoltà da protagonista. Viviamo una società, questa sì immatura, che il protagonismo, ad una persona vulnerabile (solo e con scarsi mezzi economici), un po' fuori dai suoi schemi, nel corso dei secoli non lo ho mai perdonato.

 

Unico rimorso quello di essere mancato alle attese della figlia?

Vive, nonostante tutto, la grande paura di far del male inconsapevolmente, anzi no, ingiustamente, da qui nascono le feroci disamine della propria condizione. Naturalmente, la paura diventa terrore per quanto causato alla figlia. In questo caso, però, il solo dolore è già certezza della colpa.

 

Il pianto come unica valvola di sfogo di un egocentrico superficiale?

Il pianto non è poco come sfogo. Soprattutto se a confessarlo è un superficiale. Uno che non vuole suscitare tenerezza o peggio pietà, egocentrico com’è, fa un gesto eroico a confessarlo. Evidentemente quel successo che ottiene, però, non lo dimentichiamo con la complicità di tanti benpensanti, sodali o vittime che siano, non lo soddisfa affatto. Perché piangere, altrimenti?  

 

Hai un tuo giudizio sul protagonista?

Credo che traspaia dalle risposte finora date in questa intervista. Al di là del giudizio che ciascuno ne darà, ritengo sia molto meno giudicabile di tutti gli altri personaggi che si affacciano nel romanzo. Etichettarlo in un modo anziché in un altro, risulta difficile per le tante sfaccettature della personalità. Lo si giudica più per il successo, meritato o meno, vero o falso, poco importa, che ha con le donne (che lui, però, analizza con feroce ironia), che non per i mille altri pensieri ed una certa dose di severità che ha con se stesso. Severità che credo onestamente abbiano in pochi, ancor meno ne avrebbe chi vivesse la sua condizione.


Perché il lettore dovrebbe compare questo libro?

Credo che vada comprato da chiunque voglia gettare uno sguardo sulla nostra società. Anche per ritrovarsi. E qualunque sia la posizione che occupa, anche la più scomoda, potrebbe trarre vantaggio vederla analizzata da un diverso punto di vista, seppure quello di un superficiale. Ad ogni modo, non ho timore di affermare che si tratta di un libro assolutamente vero, sia nel linguaggio, spesso non politicamente corretto; si tenga però conto che è una mente a parlare. Non si forza mai la mano nel raccontare. Mi permetto di aggiungere, per quanto finora raccolto tra i lettori, che qualunque emozione regali, anche sgradevole, resta che si lascia leggere con piacere, tra riflessioni, fastidi e risate.

 

Future produzioni editoriali?

Un po’ presto per poterlo affermare, molto preso dalla presentazione del romanzo, appena uscito. Ho, però, la sensazione che la prossima fatica letteraria, sarà una nuova raccolta di poesie, monologhi, dialoghi e brevi racconti, già messi da parte, atteso anche qualche lusinghiero riconoscimento ricevuto, in particolare dalle poesie

 

Generoso di Biase è nato ad Aversa (CE). Padre di Federica, Mario e Andrea. Dopo la maturità classica, consegue la Laurea in Giurisprudenza presso La “Federico II” di Napoli.

Esercita la professione di Avvocato, già Consigliere dell’Ordine degli avvocati del Tribunale di Napoli Nord.

Precedentemente ha pubblicato due romanzi: Farfalle Impazzite (Ed. Montag, 2010) e La Finestra Verde (ESI Edizioni Scientifiche Italiane, 2013). A me che sono un nano è la sua prima raccolta poetica (Graus Edizioni, 2020).


La Casa Editrice GRAUS EDIZIONI cerca di valorizzare al meglio i suoi Autori, che siano essi conosciuti (dal calibro di Alda Merini, Michele Prisco e Maurizio de Giovanni) o emergenti, e lo fa attraverso una politica editoriale attenta alle esigenze dell’Autore che viene seguito in un percorso che sottolinea il suo talento. Lo staff della casa editrice segue, passo dopo passo, l’elaborazione del manoscritto, partendo da un’attenta analisi del testo fino ad arrivare alla promozione attiva del risultato finale. La Graus Edizioni è una casa editrice innovativa, dinamica che promuove, inoltre, una collaborazione intensa e proficua con le scuole italiane, al fine di avvicinare i ragazzi al mondo dei libri e della cultura e di stimolare il loro approccio critico alla lettura di libri.

 

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