Artemisia Gentileschi a Napoli tra le pagine di Bruno Sacco
Servizio di Domenico Natale
La narrazione della “malia” di Napoli, sempre sospesa tra realismo perfino
brutale e mistero, è, come si sa, frequente. Questo suo aspetto è facile
percepirlo, perché i segni sono alla portata di tutti, ma il difficile è
descriverlo nelle sue diverse essenze, cioè in quel mutevole e continuo
divenire che trasforma tutto in tutto a seconda delle diverse sensibilità di
chi lo percepisce. Ci vuole una vera e propria capacità ermeneutica, che a mio
parere i napoletani posseggono geneticamente, per attraversare con naturalezza
i meandri di questa “città bifronte” dove s’incontrano “evidenza e mistero,
solarità e buio, luce e tenebre, abbondanza e squallore, ricchezza e
miseria”: tutto è presente e relazionato nella scena contorta ma
avvincente della topografia cittadina. Nessuno, in questo contesto che è solo
napoletano, è sempre la stessa cosa; nessuno è solo giusto, misericordioso,
malvagio: neppure, forse, è sempre se stesso. Bruno Sacco, nel suo libro Artemisia e gli occhi del diavolo,
edizioni Kairos Serie Oro, non solo possiede la capacità ermeneutica di
comprendere questa Napoli, ma ha anche la non frequente dote di saperla
narrare. Questo è, a mio parere, uno degli aspetti più belli del libro: non
solo concordi immediatamente e totalmente con le ambientazioni della sua
narrazione, ma ti convinci anche di conoscere meglio la città alla fine del
romanzo.
Non ho condiviso la scelta di caratterizzare eccessivamente, all’inizio del
loro apparire, Pulcinella e Coviello nei limiti delle loro maschere. Mi ha
sorpreso e convinto, invece, il loro progressivo mutarsi in Taddeo e Bartolomeo
per poi aspirare di nuovo ad essere Pulcinella e Coviello. Concreta e
affascinante Lisetta innanzitutto, come la coppia malefica De Pinedo-Martignon.
Assolutamente convincente la descrizione dei religiosi, tutti, Sfigurato
e monache benedettine compresi.
Ritengo geniale la trovata della compresenza transgenerazionale e corale
degli artisti dell’epoca nella trama del racconto: un punto di vista insolito
ed affascinante ritengo, anche per gli addetti ai lavori. I personaggi sono
incisivi tutti, fino all’ultima comparsa, perché sempre colti nella verità del
loro essere.
Artemisia è la felice sintesi delle competenze dell’autore e del suo
direttore editoriale, Anita Curci.
Quel che è stato creato è quanto di meglio era possibile fare. La fortuna
di un artista, infatti, si completa solo nella sua narrazione; quando letteratura
e competenza storico-critica si coordinano e si fondono, nascono miracoli come
questa Artemisia o come, a mio parere, il Gemito della Marasco.
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